
Fang Lijun – Il precipizio sulle nuvole – 2012
Mentre seguiva il tigì, Flavius si alzò di scatto, non ricordava di aver attivato la notifica di consegna mediante messaggio subliminale, ma era meglio così.
Di lì a due minuti il drone si posò silenzioso tra i gelsomini della terrazza. Era la prima volta che utilizzava questa modalità di consegna anche se era in esercizio già da qualche anno. Non che osteggiasse le nuove tecnologie, anzi! Semplicemente, prima del trasloco nella nuova abitazione, non disponeva di un luogo adatto ma ora, nei duecento metri quadri con vista sul fiume, aveva lasciato uno spazio aperto per eseguire alla luce del sole i suoi esercizi di yoga e, all’occorrenza, le tavole di teak erano adatte anche come pista di atterraggio.
Era stato un colpo di fortuna azzeccare quel cinque più uno, e adesso, con un milione abbondante di euro rimasti su conto dopo l’acquisto della nuova casa, avrebbe finalmente soddisfatto il suo desiderio a lungo represso: viaggiare! Da buon Sagittario, con la Nona Casa in Toro, era attratto irresistibilmente dai lunghi viaggi e i rapporti con le persone di oaesi stranieri; tuttavia in questo contesto provava un leggero timore ad allontanarsi dai suoi schemi tradizionali per seguire uno stile di vita diverso. Le grandi civiltà perdute, con le loro organizzazioni sociali arcaiche, erano una calamita per lui e di certo il viaggio più intrigante sarebbe stato quello offerto da un tuffo nel passato. Ma era pigro e nel suo animo il desiderio e l’attuazione erano tra loro in profondo contrasto. Per questo, indipendentemente dalle possibilità economiche, trovava sempre una scusa per declinare le proposte degli amici e rimandare ad un’ occasione migliore.
Ma stavolta aveva trovato la quadra. Ritirò il pacco, piuttosto voluminoso e, per ricevuta, appose l’impronta di indice e medio sulla finestra del minidisplay. Luce verde, un semplice “grazie” in voce sintetica e l’indicazione cortese di spostarsi ad almeno due metri di distanza. Il drone riparti, silenzioso come era arrivato.
Flavius non stava nella pelle. Posato il pacco sul tavolo, aprì l’involucro, una carta perfettamente impermeabile ed idrorepellente, ultimo grido nel campo delle nanotech. Estrasse una memoria da inserire nel generatore di ologrammi. I vecchi libretti di istruzioni e gli help on line ormai erano quasi scomparsi: bastava inserire la chiave e si materializzava un tutor virtuale che illustrava per filo e per segno le cose da fare. Sul sito del Ministero del Turismo e della Cultura Virtuale, con pochi click aveva scelto una novità assoluta, ed era stato tra i primi dieci ad averla prenotata! Non una meta dall’altra parte del mondo, un luogo a due passi, tanto per cominciare: un viaggio a volo radente sull’ Anfiteatro Massimo.
Quando passava da Roma per lavoro, Flavius aveva tentato diverse volte di visitarlo. Una volta era chiuso, un’altra code infinite alla biglietteria. Ci aveva sempre rinunciato.
Ma ora l’Amministrazione dei Beni Storici ed Ambientali, dopo liti e diatribe con i sindacati sui giorni e gli orari di apertura (discussioni infinite con i tecnici della Soprintendenza che volevano ad ogni costo limitare a numero chiuso le visite, pena il crollo del monumento), aveva deliberato sulla soluzione innovativa, proposta dalle menti del Club degli Inventori Sopraffini: Il viaggio virtuale nel reale.
Basta coi video 4D realizzati in UltraDefinizione! La novità era tuffarsi nel reale, trasferire a bordo di una micro mosca sintetica i propri strumenti percettivi (parlo di tutti i sensi, ovviamente) e dopo un breve giro di prova ed adattamento, partire alla scoperta di ogni angolo del monumento, senza muoversi da casa, senza toccare, senza sporcare, meraviglia, senza rovinare, senza consumare. Piccoli e quasi invisibili, ma con la possibilità di una vista a 270 gradi, anche al buio, e vedere, udire, annusare ciò che le pietre e i mattoni avevano immagazzinato, nei secoli. Da dare di testa.
Non che queste tecnologie fossero nuove alle sue orecchie, in soggiorno aveva un’ intera collezione di Urania, ma quando da ragazzo li aveva letti e riletti, mai avrebbe pensato di poterle vivere, un giorno, direttamente sulla pelle.
Ascoltò con attenzione le indicazioni di Criptyco, il tutore che all’occorrenza sapeva parlare anche latino e greco, indossò il caschetto allegato, inserì il connettore nel trasmettitore universale (ormai le unità di calcolo erano disponibili esclusivamente in rete) digitò la password e si distese sul letto, come indicato dalle istruzioni. Guardando al soffitto tirò un bel respiro poi, a voce alta disse: “Vai!”.
Subito non accadde nulla di rilevante, almeno niente di percepibile, a parte un leggero senso di freddo e di vuoto alle tempie. Poi fu come se fosse stato spento l’interruttore generale dei sensi. Pareva di galleggiare al buio, il profumo del gelsomino inghiottito dal nulla, le mani, i piedi e la pelle fatte come di plastica, intorno il silenzio di un vuoto pneumatico, neanche il battito del cuore. Fu un attimo, qualche sfarfallio di luci, rumori acuti, aria fredda sulla pelle, sentore di umido come avesse appena piovuto e stava volando, alto, sull’arena.
Erano gli ultimi momenti del tramonto. Il sole già calava verso Ostia Antica, arrossando le arcate e in cielo prendevano colore straccetti di nuvole rosa. Stormi mutevoli di storni disegnavano l’aria, perdendosi a tratti nel buio incipiente dell’est, verso il colle Oppio. E Flavius riusciva a vedere le une e gli altri, davanti e dietro, insieme. E percepiva il profumo elettrico dell’aria, dopo il temporale, insieme a sentori ferini e l’odore di sudore e di sangue sui selciati. Il rumore, urla di uomini e bestie, sferragliare di carri e cozzare di ferri: tutto vero e assordante. Poi silenzi, lunghi silenzi e versi di civette e di gatti. Cose di adesso e di secoli prima, frammiste, sovrapposte. Di un intenso da overdose, da tramortire i sensi.
Il volo poi, era frenetico, più pazzo di quello degli storni, con virate, scarti improvvisi, fermate da capogiro, in bilico sul ciglio di blocchi di calcare a strapiombo.
Non era preparato a tanto. Decise di anticipare il rientro. Mentre l’insetto High Tech si posava sulla base, la mente di Flavius, o meglio cìò che della sua mente (per questioni di banda) era stato trasmesso, ansiosamente attendeva lo slot in cui infilare ordinatamente i propri dati, senza fare casino e fare ritorno.
Mentre aspettava si accavallavano dubbi, e timori. I suoi sensi, una volta rientrati, sarebbero tornati a funzionare normalmente, senza questa ipersensibilità anomala? E su altro fronte, l’impegno del Club all’integrità e alla non duplicazione dei dati sarebbe stato rispettato?
Lo preoccupava poi quella strana clausola, scritta in piccolo e spuntata in automatico che non era riuscito a disattivare: “Conserva una copia” che voleva dire? Di cosa, dove? Del viaggio o… di quella parte delle sue facoltà, crittate e trasmesse? E se finiva in mano a qualcuno in malaffare o peggio, condivisa per errore o per scherzo su qualche social network? Qualcosa di strano, se lo sentiva, era successo. Disse tra sé e sé che in questi casi la calma e il pensare positivo sono tutto.
Ma non riuscì a trattenersi. Gli tremarono le elitre.
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Franco A. Canavesio – La soluzione – 19 maggio 2014
Fang Lijung – Il precipizio sopra le nuvole – 2012