Nero di mare

Piroscafo Principessa Mafalda - 1908 - traversata Genova Buenos Aires

Piroscafo Principessa Mafalda – 1908 – traversata Genova Buenos Aires

Atlantico atlantico
colline nere le onde
scuro il cielo sui baffi del mare

filari sconvolti le sponde
sale scende di poppa
la notte
s’inclina risucchia

atlantico atlantico
oltre l’atlantico nuovi confini
anche mio nonno se lo bevve il mare
se fosse vissuto non sarei nato

era l’atlantico un secolo prima
ma anche ieri sera l’acqua era nera
le sirene distratte
e gli angeli ancora non avevano imparato a nuotare
a distinguere il nero della carne
dal nero del mare

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Franco A. Canavesio – Nero di mare – 3 ottobre 2013
Foto: Piroscafo Principessa Mafalda – 1908 – traversata Genova Buenos Aires

Oggi

Giuseppe Flangini - Giorno di pioggia (scene dal film Brama di vivere) -1955

Giuseppe Flangini – Giorno di pioggia (scene dal film Brama di vivere) -1955

Oggi una pioggia
di liquidi astratti
ciotole rase di acqua pesante
per cani e padroni a passeggio
quattro più due
in tutto sei zampe

alta pressione in gas liquefatti
il freddo non blocca le lingue
conserva magagne
esplosione
alla nuova stagione

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Franco A. Canavesio – Oggi – 3 ottobre 2013
Giuseppe Flangini – Giorno di pioggia (scene dal film Brama di vivere) -1955

Non sempre la luna

Joan Mirò - Personnages dans la nuit - 1950

Joan Mirò – Personnages dans la nuit – 1950

Non sempre la luna è disposta
a calare sulla tua pelle
in punta di labbra il percorso
dal collo giù per le spalle
fino a dar luce all’ambra
stretta nell’ansa del fianco

il buio stanotte non calza guanti di seta
nera d’orbace la luna
veste divisa da guerra
bottoni di latta
le stelle
rumore di ferraglia
l’inciampo nei sogni

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Franco A. Canavesio – Non sempre la luna – 28 settembre 2013
Foto: Joan Mirò – Personnages dans la nuit – 1950

A me mi piaci

Marie Thérèse Walter - Pablo Picasso - 1937

Marie Thérèse Walter – Pablo Picasso – 1937

A me mi piaci
tutt’intera
ma anche fatta a pezzi
dalle occhiate invelenite e dai colpi di dentiera
dell’età

una madonna
l’occhio al cielo
il naso aquilino
sia da sopra che di fianco
il dito con l’anello della nonna
e un piede
quello destro
con le unghie pitturate di amaranto

ti dipingo a modo mio
alla picazzo
metto insieme il tuo intero
squinternato
spezzettando il dienneà
che recita quartine sull’ordine divino
e l’immensa sua maestà

ti imbelletto di colore mescolato al vinavil
per fissare la visione
tremolante
che vacilla

da sotto
sopra
in alto
meglio a destra
o giù a sinistra
non lo so
è la luce chè sbagliata
o l’occhio il mio occhio
che non va

Troppi pezzi
un errore
io ci infilo
intero
un fiore
che mi dà stabilità

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Franco A. Canavesio – A me mi piaci – 28 settembre 2013
foto: Marie Thérèse Walter – Pablo Picasso – 1937

Non hanno capito nulla

Giuseppe e Domenico Valeriani - Affreschi della volta del Salone centrale della Palazzina di Caccia di Stupinigi

Giuseppe e Domenico Valeriani – Affreschi della volta del Salone centrale della Palazzina di Caccia di Stupinigi

Stamattina sono stato ancora una volta in visita alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. Forse anche grazie alla complicità del tempo grigio e piovoso mi è balzato evidente che i fratelli Valeriani erano un secolo indietro e di Juvarra non capirono nulla. Non bastò loro la scuola veneziana del Ricci: rromani nacquero e rromani morirono.

Non colsero quell’anelito che mirava a legare il dentro e il fuori, il nord e il sud con lo zenit, l’idea di leggiadra leggerezza che aveva addirittura spinto l’architetto sabaudo a pensare ad un salone aperto, senza volta, per far entrare il cielo!

E immagino lo sconcerto del messinese quando vide completati gli affreschi della volta. Figure cariche e sovrabbondanti, mancanza di equilibrio tra pieni e vuoti, toni pesanti; un senso di greve che si alleggerisce appena un po’ negli affacci alle finestre di est ed ovest.

Sono drastico, fossi stato Carlo Emanuele III non avrei sganciato uno scudo ma, vestitili da cervi, avrei mollato i cani e  fatto un fischio al giovane Tiepolo.

Giuseppe e Domenico Valeriani - Palazzina di Caccia di Stupinigi (III)

Giuseppe e Domenico Valeriani – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Salone centrale, particolare della volta

Giuseppe e Domenico Valeriani - Palazzina di Caccia di Stupinigi (V)

Giuseppe e Domenico Valeriani – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Vista del salone centrale dalla balconata

Giuseppe e Domenico Valeriani - Palazzina di Caccia di Stupinigi (II)

Giuseppe e Domenico Valeriani – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Salone centrale, particolare della volta)

Giuseppe e Domenico Valeriani - Palazzina di Caccia di Stupinigi (IV)

Giuseppe e Domenico Valeriani – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Salone centrale, particolare della volta

Risveglio

La fille aux perroquets

Martha Nieuwenhuijs – La fille aux perroquets – 2011

E’ sfuggito tra le maglie il profumo del tuo giglio
e l’ho dato al sole e al vento che passavano a braccetto

ho colto di soppiatto il boccio tuo vermiglio
e l’ho chiuso nell’ampolla al centro del mio petto

il verde della foglia che galleggia nei tuoi occhi
l’ho confuso controvoglia nel cespuglio della mente

e lasco ho cinto al collo per dar suono al mio passo
il sonaglio di cristallo del tuo fragile risveglio

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Franco A. Canavesio – Risveglio (canzone) – 19 settembre 2013
Foto: Martha Nieuwenhuijs – La fille aux perroquets – 2011 (per gentile concessione dell’autrice)

Intero

Baccio Bandinelli - Ercole dormiente - Hermitage, San Pietroburgo

Baccio Bandinelli – Ercole dormiente – Hermitage, San Pietroburgo

Mio caro Marco,
Sono andato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. Bisognava che mi visitasse a digiuno ed eravamo d’accordo per incontrarci di primo mattino. Ho deposto mantello e tunica; mi sono adagiato sul letto. Ti risparmio particolari che sarebbero altrettanto sgradevoli per te quanto lo sono per me, e la descrizione del corpo d’un uomo che s’inoltra negli anni ed è vicino a morire di un’idropisia del cuore. Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapidità dei progressi del male, pronto ad attribuirne la colpa al giovane Giolla, che m’ha curato in sua assenza. È difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana; l’occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue. E per la prima volta, stamane, m’è venuto in mente che il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e a me noto più dell’anima, è solo un mostro subdolo che finirà per divorare il padrone. Basta…

Marguerite Yourcenar – Memorie di Adriano (Incipit) – 1951.

Sono sessant’anni che albergo in questo corpo e solo adesso comincio a sentirlo come la mia casa.
Di questo insieme percepivo solo vagamente la complessità. Le strutture e gli organi li sentivo solo a volte, separati, uno ad uno, quando qualcosa non funzionava e le parti diventavano un peso, un impiccio, una frazione inadeguata da modificare o addirittura di cui sbarazzarsi.
Solo in qualche raro momento sono arrivato a sentirlo tutto, nel sua interezza, di solito mentre galleggiavo in mare e ancor più quando, uscito dall’acqua, mi sdraiavo a cuocere sulla sabbia, oppure dopo una salita in montagna, sdraiato a terra, con gli occhi al sole. E la percezione dell’intero non era disgiunta da quella di appartenenza, vuoi all’acqua, vuoi alla sabbia o alla terra o ancora all’aria e al sole.
Mi chiedo come ho fatto a non pormi prima questa domanda: perchè non ho consapevolezza del mio corpo, perchè lo sento al più come un insieme di pezzi? Scavando negli anni, già fin dall’infanzia, non ho ritrovato insegnamenti e abitudini consone ad aiutarmi e spingermi ad amare il mio corpo, per quello che è, nella sua totalità?
Non nella famiglia, neppure nella scuola, tantomeno nell’ambito della sanità e nell’ambiente religioso: scarsa attenzione per il corpo, inteso solo come entità indefinita di servizio a cui richiedere, senza concedere. Una sostanziale mancanza di riconoscimento e quindi di considerazione e di rispetto per la sua interezza, che già è poco in confronto ai sentimenti di compassione ed amore che comincio a provare, solo ora.
Cì è voluto l’accumulo di tensioni, la malattia e l’incontro risolutivo con alcune persone per trovare la guarigione, quel percorso di miglioramento, lungo tutta la vita, che passa necessariamente attraverso la ritrovata consapevolezza del proprio corpo.

Quando ho bisogno siedo di fronte alle stelle
come in un fiume mi spoglio
e con gesto da film espongo la pelle

alieno buono
mi faccio antenna del mondo
convoglio messaggi dagli astri
quel tanto che serve a sentire intero il mio corpo
non pretendo che l’acqua bolla sotto le piante
le mie gambe mettano ali o il sangue inverta il suo corso

mi basta ricucire i pezzi
col respiro del sole
dar voce al chiaro e allo scuro
sentire come mia
anche la parte negletta

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Franco A. Canavesio – Intero – 1 ottobre 2013

Instabile giunco gentile

Giunco

Instabile
giunco gentile
a ogni frenata il tronco s’inchina
il vecchio seduto
non incrocia il mio sguardo
il suo
non passa oltre le ciglia

nella borsa ha la storia del corpo
racconti con poche varianti
formule e numeri
scritti inumani
di aghi e di sonde

accanto
pensieri in partenza
dal velo nero della badante
affrancati per l’oltremare

nell’aria
una donna bilingue ricorda Carducci
la piazza dell’ospedale

esili
scendono
tenendosi la mano.

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Franco A. Canavesio – Instabile giunco gentile – 12 settembre 2013