Finestre (a mia madre)

Ogni compleanno ha per me un fascino particolare. E’ insieme un segno del tempo, che passa modellando la nostra mente e il nostro corpo, una traccia del nostro percorso, la conferma della benevolenza di Dio che ci pone la Sua mano sulla spalla, spingendoci avanti.

Quando penso a quanti eventi hanno segnato la lunga vita di mia madre, mi coglie una sorta di smarrimento. Ma ho la fortuna di saper riempire le caselle del tempo con i ricordi, i fatti, gli aneddoti che fin da piccolo lei mi ha raccontato. Sì, perché per lei ogni momento era propizio per ricordare qualcosa del passato, raccontandolo come se fosse appena accaduto.
Tutta la sua vita mi è familiare come un libro amato, letto, riletto una pagina alla volta, aprendolo a caso.

Quando qualche tempo fa mi disse: “Franco, perchè non mi scrivi una poesia?” Ho pensato subito che bastava riaprire il libro, leggerne con amore qualche passo, e prendere in mano la penna.

L’ho sfogliato, la carta un poco sbiadita parlava del ’44. La nonna Lucia, sedeva davanti alla finestra aperta della casa di Busco, aspettando il ritorno di mia madre. Era il tramonto, il momento dei ricordi.

Finestre aperte sui campi
Respirano i raggi di un sole,
che muore. E alberi, intorno
Con le ombre sempre piu’ lunghe.

Neppure un rumore, lontano
senti un canto, oltre i ligustri.
E’ lei, non puoi sbagliare,
solo lei cosi’ sa cantare.

E ricordi quel tempo lontano.
Le nove lune si eran compiute,
Con i bocci della primavera nei prati,
In quel lembo di terra al confine.

Il cannone ancora tuonava
Oltre il fiume dei fanti di maggio
E la nuova vita al tuo seno,
Si apriva a piu’dolci promesse.

Stagioni chiare di neve e di sole,
A piedi nudi sull’erba di marzo.
Nei fossi gonfi le tinche lucenti,
I ballarini cullati dal vento.

“ Ida, canta qualcosa per me”
dicevi e sedevi in attesa.
Lo spiedo, lento girava
al ritmo lieto di strofe e canzoni.

D’improvviso capire
che la fiaba e’ finita
La terra e’ di altri,
le barchesse son vuote dei travi

La cartolina di Torino
custodita nel libro da messa
è un segno di Dio,
il luogo dove migrare.

Presto, bisogna partire,
per ricominciare, cercare,
volere con forza il nuovo,
il lavoro, l’amore, il futuro.

E ancora canti, falsi di guerra,
addii, partenze, intermezzi lontani.
Il ritorno, nella casa segnata dagli anni.,
Ormai stanchi di tanto patire.

Ora e’ passato il tempo del dolore,
tornano dolci i ricordi e le buone parole.
La fiaba antica della bella Andreana *
ripete ancora domande senza risposta.

E la carezza della tua mano stanca
Gioca leggera con i suoi capelli.
Finestre aperte sui campi
Respirano i raggi di un sole, che muore.

(*) Andreana, bela Andreana
Quante foie gha a so mazarana?
E lu che sze d’ Impero,
Quante stele sze nel szielo?
Quanto pess el sze nel mar?
Se il sze bon de indovinar!

Franco Antonio Canavesio – Finestre (a mia madre) – aprile 2012

Zanzi (a mio padre)

Abbazia di Nostra Signora di Vezzolano

Dopo molti anni sono tornato a Vezzolano. L’abbazia di Santa Maria era luogo abituale di incontro tra me e mio padre. Lì sostavamo ad ascoltarci l’un l’altro, a parlare di pittura e di arte.
Un pomeriggio, seduti nel chiostro, gli chiesi il perchè del nome Zanzi con cui aveva firmato un dipinto da poco terminato. Mi ricordò che Zanzi era il suo nome di battaglia da partigiano, quando prima della liberazione operava nella zona di Pollenzo e Bra, contro i nazi-fascisti a cui si ispirano gli stolti che ancora marchiano i luoghi con croci uncinate.

Quel quadro rappresentava per lui una netta cesura con il passato, una sorta di liberazione e quindi era venuto spontaneo usare, ancora una volta, quel nome di battaglia.
Solo qualche mese dopo, improvvisamente ci lasciò, proprio il venticinque di aprile.

Son tornato a cercare
tra il mattone la pietra
ad ascoltare il silenzio
il gemito sacro del legno.

Allora nel tempio deserto
non un distratto guardiano
a fermare il gesto scoperto
che sfregia con graffio villano.

Si stava seduti vicini
lo sguardo al segno cristiano
su archi leggeri di luce
il pensiero vola lontano.

Nel chiostro colonne variate
siepi di bosso e di ontano
sotto le volte affrescate
mi parli e trema la mano.

Forse è il coccio pestato
a far affiorare le ossa
del moresco ponte mozzato
che ancora Pollenzo arrossa.

Nascosto nei boschi di Langa
fazzoletto garibaldino
non c’è batticuore che tenga
staffetta tra Bra e Torino.

Zanzi, una saetta che guizza
Il nome sul tuo tesserino
Zanzi, un po’ come Zorro
per me quand’ero bambino.

Ora che la pietra è schiarita
e ride il coppo sanato
quel segno scritto a matita
salda presente e passato.

Ho trovato il filo che lega
il tuo nome da partigiano
la firma sui quadri più veri
l’improvviso tuo trascolorare

nel bigio tempo sospeso
di un venticinque di aprile.

Franco Antonio Canavesio – Zanzi – 25 aprile 2012